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Balletto Civile | Paradise

lunedì 15 Aprile
21:00

Abbiamo deciso di centrifugare in modo irriverente le cronache della guerra di Troia.
Rimescolando le carte.
Un Mahabharata Bollywoodiano dove tutto è già avvenuto.
Nel camping di battaglia gli eroi greci imbolsiti tentano il tutto per tutto con una guerra bricolage.
Donne bambine di una bellezza amara danzano come falene, e mordono come lupe, ostaggio di un esercito di uomini ingrassati nei loro pantaloni.
Le donne partono per il viaggio verso loro stesse, detentrici di forza, il loro midollo tenuto prigioniero esige liberazione.
Resta un popolo che ha una sola possibilità di ricominciare: stare lì, rimanere dove nessuno vorrebbe essere, in uno spazio tra la guerra e un nuovo equilibrio.
Potrà esserci bellezza in una terra distrutta?
Da dove comincia la ricostruzione?
I corpi che rimangono sono il futuro.
E i nostri corpi maldestri ci fanno morire dal ridere anche nella tragedia.
L’archetipo maschile e femminile si confrontano in quest’opera, e i loro corpi diventano mitici tanto da confondersi con il cielo, come se tutto tornasse immenso spazio e natura.
Vogliamo cogliere il mistero simbolico che si cela dietro questo lamento, e per noi è qualcosa di estremamente umano e fragile e ridicolo, come le piccole vite che stanno dietro la storia.
Il nostro paradiso è il vuoto dove si tenta di ricominciare.
L’ultimo accampamento, dove i pensieri e le convinzioni si confondono.

Michela Lucenti

 

La guerra è finita.
Tutto è già avvenuto.
Resta un popolo che ha una sola possibilità di ricominciare: stare lì, rimanere dove nessuno vorrebbe essere, in uno spazio tra la guerra e un nuovo equilibrio.
Potrà esserci bellezza in una terra distrutta?
Che luogo è quello che è stato un grande regno e che ora non è più un campo di battaglia?
Da dove comincia la ricostruzione?
Da noi.
I corpi che rimangono sono il futuro.
L’archetipo maschile e femminile si confrontano in quest’opera come non mai, l’uomo si afferma conquistando la terra-donna, su questo concetto si fonda la ricerca antropologica.
Noi vogliamo cogliere il mistero simbolico che si cela dietro questo lamento, e vogliamo trovarlo nella bellezza.
Il paradiso non è nell’accettazione ma nella bellezza di ricominciare.
Una spiaggia di terra rossa l’ultimo accampamento, dove i pensieri le convinzioni si confondono.
Raccontiamo il tempo dopo che abbiamo urlato e le nostre parole si perdono ai lati della bocca come delle farfalle.
Un semplice fazzoletto di terra, antico come la storia del mondo, che ritorna primitivo dopo le macerie.
Donne forti  di una bellezza amara danzano come falene, ostaggio di un esercito di uomini-orso più piccoli dei loro cappotti.
Dov’è la verità?
Le donne partono per il viaggio verso loro stesse, detentrici di forza, il loro midollo tenuto prigioniero esige liberazione.
Le leonesse e le loro corse sfrenate, il tempo nella dolcezza del gesto.
Raccontiamo il tempo dove occorre tentare di fare la terra come il cielo, per ritrovare l’equilibrio dobbiamo metterci in ascolto della tradizione, piangeremo le parole che arriveranno come un sussurro e cercheremo di capire quello che ci lasciano intendere, solo dopo cominceremo a fremere come a nuova nascita.
Il dolore come conoscenza sia per chi lo subisce sia per chi lo provoca, in questa conoscenza ci sarà la chiave per costituire oggi la nostra identità di uomini e di donne.
Una poesia che tende al lamento, la transizione dalla parola al canto, al fiato, che si scioglie in azione nel corpo degli attori.

Balletto Civile partecipa al progetto A/R
Angelo Mai Altrove Occupato
ottobre 2012/giugno 2013