Sono partito da Candide di Voltaire credendo di scorgervi il mondo e sono arrivato ad un autoritratto.
Come altre volte sento premere dall’interno la necessità impellente di cambiare strada, di rimettere tutto in gioco un’altra volta e la posta in gioco per questa nuova partenza è la riscrittura o meglio la rilettura della mia identità artistica, che poi è l’unica che ormai mi resta. Un lungo cammino mi ha portato a questa ineluttabile realtà dei fatti, realizzando così quella ipotesi che in gioventù era ideologica o idealistica ma che ora vedo e riconosco come la realtà unica della mia vita.
Ciò che sempre dopo anni mi raggiunge con stupore guardandomi alle spalle una volta che l’opera è fatta, è nata, è come incredibilmente tutto vi converga all’interno con una luminosità che per me è sconvolgente e la sovrapposizione tra il mio vissuto l’essere in vita e lo spettacolo sia ai limiti della perfezione. Questo è al contempo terribile e fantastico e per me irrinunciabile, anche se ben so che ogni volta l’esposizione al rischio è esponenzialmente maggiore.
Due anni fa quasi esatti sono partito per Berlino, tra le poche cose che mi sono portato dietro c’era appunto il libricino di Voltaire, ho trovato una casa in questa città e mi sono messo alla ricerca, di cosa non lo sapevo, sapevo però che stavo cercando.
Questo mio autoritratto è ispirato al personaggio bastardo di Candide perché quel gran genio di Voltaire ha saputo con esso dire verità terribili facendoci al contempo sorridere. Nel leggere il Candide spesso ci si domanda: “Perché sto ridendo? Queste sono cose terribili. Perché mi diverto leggendo questi orrori”.
Il viaggio di Candide e i suoi incontri mi appaiono oggi come la metafora della mia vita. Cerco ogni giorno di proteggere in me quell’idea del mondo che sento più giusta e di non rinunciare al miraggio del migliore dei mondi possibili. Pur sapendo che si tratta di un’utopia credo che la sopravvivenza di questa idea innalzi il grado di ambizione del “come dovrebbe essere”.
Ho cercato di rispettare in tutto l’oggetto dell’ispirazione a partire dalla sua velocità espressiva, proseguendo con la sua visionarietà e l’importanza dei temi trattati, ma soprattutto mai avrei potuto tradirlo nel suo tratto più geniale, la leggerezza e l’arguta delicatezza.
Il mio Candide è un’opera bastarda fatta da un bastardo, è il mio autoritratto terribile e delicatamente ridicolo. Mi considero un bastardo come Candide e non un post-moderno, io sono geneticamente il prodotto delle mescolanze dei generi differenti che si sono fecondati tra di loro tradendo così l’originaria purezza. Non sono un animale di razza che con la sua classica bellezza e colta sapienza affascina e mette soggezione, il mio mantello è a chiazze, in me tutto c’è e non potrò mai esser una sola cosa.
Quando passo per la strada con il mio aspetto arruffato e la testa storta da una parte, tutti pensano che sono un randagio e che mi meriterei un sacco di legnate e a volte me le danno pure.
Questa mia ultima opera è anche il segno concreto che la necessità di cambiare gli orizzonti estetici del proprio linguaggio per parlare il mondo e le realtà, resta e resterà sempre il principale motore mio e del Teatrino Clandestino.
Pietro Babina
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