DA_DOVE_STO_CHIAMANDO
un progetto per il teatro
KATZELMACHER, ‘CAPITOLO I DI UNA TRASCURABILE TRILOGIA EUROPEA’
da Rainer Werner Fassbinder
progetto e regia Lisa Ferlazzo Natoli
con Fulvio Accogli, Nicola Adobati, Roberta Guccione, Vincenzo Lesci, Massimo Mento, Rosa Palasciano, Raffaella Paleari, Domenico Piscopo, Tonia Specchia, Francesca Verzaro, Mario Zaza
regista collaboratore Alice Palazzi
drammaturgia Mattia Cinquegrani
assistenti al progetto Elisa Di Francesco e Lorenzo Robino
luci Giuseppe Falcone e Michele Baronio
immagini Maddalena Parise
regia immagini Alessandro Ferroni
produzione lacasadargilla e Centro Internazionale La Cometa
in collaborazione con Ex Lavanderia
Katzelmacher:
Espressione idiomatica dispregiativa,
significa più o meno “terrone”
1939: i sudtirolesi si trasferiscono in Tirolo, immediatamente chiamati katzelmacher dai ‘tedeschi’, termine dispregiativo usato per definire gli ‘italiani’.
Questo insolito testo di Fassbinder è un racconto sul fascismo di provincia, sui sistemi coercitivi del branco, e sui meccanismi di sopraffazione.
Su laceranti sensi d’inferiorità.
Sugli stereotipi, dell’immaginario e del linguaggio.
La vicenda si può ridurre a poche righe, quasi sconcertante nella sua banalità: intorno al 1970 in un’imprecisata cittadina tedesca – il cui sostanziale benessere è tenuto ostinatamente fuori campo – l’arrivo di un lavorante straniero scatena i pettegolezzi, l’astio e i desideri di un gruppo di giovani, fino a raggiungere una piega violenta che si risolve però in un miserabile niente di fatto.
I giovani di Fassbinder hanno tutte le distorsioni della società in cui abitano e in cui, pure, non riescono a integrarsi: indolenti, opportunisti, diffidenti, genericamente xenofobi, vigliacchi e violenti.
E soprattutto, privi di desideri abbastanza saldi da spezzare questo inconsapevole e allucinatorio rito di gruppo.
E un senso di terrore imminente scivola giù da ogni singola parola.
Il testo è prosciugato e crudo fino ad essere quasi artificiale: le battute sono sommarie e concise, ma è proprio il tratto veloce a lasciar trasparire d’improvviso il profilo dei personaggi, la direzione degli sguardi e ogni sotterranea, quasi involontaria, intenzione.
Il retroterra è sì sociale e politico, ma Fassbinder guida la scrittura su un piano assolutamente emotivo, muovendosi tra fantasie, insinuazioni e tensioni improvvise, il cui ritmo è serrato, lentissimo o assolutamente statico.
Ma che mai, mai riesce ad esplodere in tragedia.
C’è infatti anche qualcosa d’impersonale nei tratti degli undici protagonisti, tutti come già interpreti di un comportamento sociale collettivo, che per una sorta di legge del profondo, obbedisce a pulsioni antiche e inconsapevoli, destinate a ripetersi ossessivamente.
La drammaturgia si struttura così in un accumularsi di micro-narrazioni su fatti avvenuti altrove, frasi fatte su esperienze mai vissute a pieno, racconti frammentari e ripetuti, parziali e insinceri.
Nessuna azione effettiva viene compiuta, e la forma pettegolezzo, l’atto parziale o il dialogo lasciato cadere, sembrano assorbire ogni istanza vitale.
In luoghi interamente spogliati da connotazioni, sono i corpi a disegnare gli spazi su una cadenza da montaggio cinematografico suggerito dalla stessa scrittura: la sovrapposizione tra scene, la coabitazione tra primo piano apparente e campo lungo, il costante sentore di un ‘fuori campo’, le separazione improvvisa per branchi, consegnano allora ogni parola alla forma pubblica, alle sue indiscrezioni e alla sottile violenza dello sguardo.
Katzelmacher forse non è altro che un ammasso di narrazioni parziali, inconsistenti e tragicamente indispensabili, per azzardare una prospettiva ‘di provincia’ su questi eterni figli di quei cattivi padri, che hanno affidato alla cronaca di una posa fotografica e di un calendario di giornali proiettati fuori campo, la memoria, la voracità e i cosiddetti sogni dell’intera Europa.
Una breve immagine intermittente si sovrappone a quell’ultima posa fotografica, non chiaramente visibile, a evocare una memoria non raccontabile che per pochi istanti va a fuoco: una distesa di mani levate, oggetto-shock concreto che si dà a vedere a fondo palco, senza commento.
postilla ‘non trascurabile’
Per noi solo un gruppo d’attori giovani, ancora non s-formati, avrebbe potuto mettersi in corpo questi resti e detriti d’immaginario che sono le battute di Fassbinder.
C’è qualcosa di struggente nella giovinezza, qualcosa di tutto il ‘possibile a- venire’.
I capitoli della Trascurabile Trilogia Europea sono d’altronde pensati, pedagogicamente, con gruppi di giovanissimi, perché crediamo che per riprendere le fila del di dove veniamo, per guardare e riflettere a questa cosa che era ed è l’Europa, sia assolutamente necessario passare per il corpo di coloro che, in un modo o nell’altro, la abiteranno in un futuro non poi così lontano.
Per prenotazioni scrivere a prenotazioni@angelomai.org