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Un lungo tavolo in un bianco candore. Si apparecchia, si sparecchia.
Con cura, con molta cura, alla ricerca di un’eleganza che non è estetica ma un moto dell’anima, un’attenzione alle piccole cose.
Un luogo, una casa sospesa nel tempo. Si consumano riti sociali. Ci si ritrova a bere un tè immaginario, a mangiare in assenza di cibo, con lo sguardo rivolto ad Alice nel Paese delle Meraviglie. Non si tratta della deformazione del mondo ma della costruzione di un mondo più o meno simile a quello in cui viviamo e il cui alfabeto sgorga da quell’oscura regione delle primordiali fantasie infantili. Con la leggerezza del gioco si organizzano in un nuovo racconto le immagini che affiorano e svaniscono continuamente. È una forma di elaborazione del lutto per la perdita del padre, dei padri, del mondo.
La vita che scorre accanto alla morte. Quel che siamo e quel che siamo stati.
Quel che c’è e quel che manca e nulla è come sembra.